Ancora sull’ultima Turandot

Summary

In questo testo si parla della relazione tra Alfano, Puccini e Toscanini, e del suo coinvolgimento nella conclusione dell’opera Turandot. Si evidenzia il rapporto complesso tra i tre personaggi e le difficoltà e conflitti che Alfano affrontò nel suo lavoro di completamento dell’opera. Si menziona anche del bullismo da parte di Toscanini e il boicottaggio delle sue opere. Alfano si trova coinvolto in una serie di difficoltà e ingiustizie, ma nonostante ciò mostra un forte legame con Puccini e una determinazione a superare le avversità.

***

Le due parole arcane e fuorvianti (“poi Tristano”), appuntate da Puccini su uno dei famosi fogli (che assolutamente nulla indicano, perché chiunque si scrive note di memoria mentre sta lavorando e che hanno valore e significato esclusivamente per lui medesimo) sono solo uno degli “enigmi” aggiuntivi di Turandot.

La strumentazione (fatto inusuale), col completamento dell’opera al 95% per mano dell’Autore ha creato le problematiche per un finale che un ipotetico Puccini risanato, guarito dall’operazione alla gola, con una presumibile iniezione di ottimismo al suo ben noto carattere melanconico, avrebbe chissà come risolto, rivisto, definito.

Se è vera la storiella dell’esecuzione al pianoforte del finale in pp, di cui anche Toscanini era a conoscenza sia pure in altri frangenti o come fosse, perché non lo richiese ed impose ad Alfano ed anzi, di fatto, lasciò passare e diresse per tre volte quell’apoteosi che era poi non una seconda versione del musicista napoletano, bensì una terza (cfr. Sachs, 2017-18)? Senza contare che Toscanini aveva in fase intermedia, addirittura sollecitato Alfano ad ampliare il lavoro sin lì giunto (Sachs).

>>>“Se ne approfitta perché a me mi hanno rovinato due persone, altrimenti non starei qui. Due persone mi hanno rovinato: Toscanini e Carlo Erba. Altrimenti a quest’ora io sarei a Milano, sulla Scala!”.

Così Totò (nelle vesti di Antonio Scannagatti) al sindaco di Caianello. Se a Carlo Erba (che non si sa a che titolo venga citato) sostituiamo Tito Ricordi, abbiamo l’immagine di un vaso di coccio tra vasi di ferro.

Resta il fatto che quello che viene spacciato per il finale di Alfano è in realtà un falso, di cui il compositore è insieme vittima e complice. 268 battute infarcite di ripetizioni rumorose al posto di 377 di musica di alta qualità, come si è potuto capire solo dal 1982, quando è stato finalmente ricostruito ed eseguito il finale autentico.

Benché non fosse suo allievo, Alfano si guadagnò la stima e l’amicizia di Puccini nei suoi ultimi anni di vita. Caso raro, visto il modo in cui questi trattava i suoi colleghi e rivali (Leoncavallo ribattezzato Leon-bestia o Leon-asino).

Puccini accolse invece Alfano con l’atteggiamento affettuoso e paterno di un musicista all’apice della gloria verso un collega già affermato ma ancora giovane e inesperto. Tale era la confidenza tra i due da permettere ad Alfano di intervenire su scelte artistiche importanti, come testimonia la discussione tra i due sulla struttura di Turandot, dalla quale uscì vittoriosa la proposta di Alfano di tornare alla divisione in tre atti, spostando al secondo la scena degli enigmi. E fu ad Alfano che Puccini confessò che il finale di Turandot lo preoccupava, e di essere alla ricerca di qualcosa di vasto, di grandioso per il quale non era ancora arrivata l’ispirazione.

In realtà non era arrivato neppure il libretto: nemmeno dopo aver orchestrato tutto il terzo atto fino alla morte di Liù poté avere da Adami il testo per il duetto finale.

Proprio in quei giorni Sakuntala veniva accolta con entusiasmo in Germania; meno in Italia, probabilmente a causa della maggiore attenzione mediatica convogliata da Toscanini verso la prima del postumo Nerone di Boito (difficile decidere se sia mania di persecuzione di Alfano o stalking da parte di Toscanini, ma ne parleremo ancora).

Fu proprio sul terreno dell’esotismo musicale che Alfano si guadagnò i titoli che gli valsero la scelta di Antonio (figlio di Puccini) e Toscanini, allora direttore artistico e musicale della Scala. Alfano si prese 25 giorni di tempo per pensarci su, trascorsi i quali accettò l’”enorme responsabilità dell’impresa”, impossibilitato a rifiutare per la “commovente insistenza” dei due personaggi di cui sopra.

Il problema era che Alfano non capì che il suo lavoro avrebbe dovuto limitarsi a un rammendo dei lacerti e schizzi lasciati da Puccini, e che già il proposito di immedesimarsi in Puccini scegliendo cosa mantenere, cosa scartare, pur “senza essere troppo Alfano” (parole sue), di tagliare qui, allargare lì, e di cercare con tutte le sue forze di compositore di rispondere alle enigmatiche parole di Puccini (e poi Tristano) già solo questo era abbastanza per irritare Toscanini, che lo costrinse a  sconciare il suo lavoro come abbiamo detto, fino all’umiliazione di interrompere l’esecuzione alla prima assoluta, in maniera non si capisce fino a che punto preannunciata e concordata.

Complice una sua intervista avventata e imprudente (ritorna sempre questa naivetè) in cui rivelava anzitempo dettagli del lavoro di completamento, la vicenda Turandot diventa per Alfano un incubo  degno di quello di Calaf (Alba vieni, quest’incubo dissolvi, crollasse il mondo, voglio Turandot): “nonostante l’amicizia che mi lega a Puccini, e tutto l’interesse che questo lavoro ha suscitato in me, ci sono cose che si fanno una sola volta nella vita, incluso, forse, il matrimonio!!!”.

Così, mentre si gioca sulle sue spalle umiliandolo, ridicolizzandolo, preparandogli una persecuzione che lo accompagnerà ovunque, causandogli sempre nuove nuove somatizzazioni invalidanti, lui pensa ancora al legame con Puccini, si sente nonostante tutto da quella parte, dalla parte di chi ha lavorato per il bene dell’arte, e ci scherza pure su con la battuta sul matrimonio. Anche l’ingenuità dovrebbe avere dei limiti.

Alfano fu vittima di bullismo da parte di Toscanini, riuscendo nell’impresa di farsi perseguitare, lui fascista, da un antifascista.

Nel 1928 Serafin e Gatti Casazza lo avvertono che alla prima assoluta di Madonna Imperia a Torino sarà presente un critico del Corriere legato a Toscanini, il cui giudizio sicuramente negativo avrebbe condizionato il pubblico di New York dove l’opera sarebbe stata eseguita subito dopo.

“L’affaire Turandot ha danneggiato le mie relazioni con la ditta Ricordi a causa della sua sottomissione a un tiranno che vuole tutti ai suoi piedi. Ho potuto avere giustizia solo fuori dall’Italia perché non sono un servo di Toscanini come tutti quelli che vogliono arrivare a qualcosa.” Così Alfano a Hertzka, direttore delle edizioni Universal di Vienna.

Solo dopo i fatti del 1931 poté iniziare a sperare di rompere il boicottaggio che Toscanini aveva esercitato contro le sue opere alla Scala, e di riflesso in tutta Italia.<<<

Andrea Taviani, in: Alfano, il grande inattuale della musica italiana, Internet Archive, 2019

© ag, 25 aprile 2024, pubblicato alle ore 14:15

Lascia un commento